MANIFESTO

[…] abbiamo fatto di voi popoli e tribù, affinché vi conosceste a vicenda. Corano, 49,13

Storie d’Oltremare

Un manifesto serve a rendere espliciti i principi che ispirano un movimento politico o culturale.

Nel caso di Storie d’Oltremare, non si tratta di un partito né di un’associazione, ma di un blog dedicato alle vicende politiche, economiche e culturali dei Paesi mediterranei e mediorientali.

La creazione di questo diario di bordo è il risultato della passione per la conoscenza di tale parte del mondo, della quale si parla tanto ma si sa poco.

È noto che dalle passioni derivano sentimenti forti.

Nel mio caso, il desiderio di capire le forze geopolitiche attive nei mari e nelle terre intorno all’Italia ha fatto nascere un incontenibile moto di ribellione, articolato su due piani distinti.

In primo luogo, io mi rifiuto di accettare l’immagine distorta e superficiale di quest’area del globo, basata su convenzioni comunemente riconosciute e riprese di continuo dai principali attori del mondo dell’informazione, sempre più spesso piegati alla logica del profitto a danno della qualità. Non si tratta qui di contestare le regole dell’economia di mercato e della concorrenza, ma di respingere le notizie che non informano e le storie che non raccontano.

Nel caso dei Paesi mediorientali e mediterranei, la narrativa giornalistica sottintende spesso l’equazione tra orizzonte e minacce. Il mare e le terre situate poco più in là dei bacini italiani sono descritti solo come fonti di problemi e pericoli, dai flussi migratori incontrollati al rischio terroristico, dall’instabilità politica al fanatismo religioso. Sarebbe sciocco negare l’esistenza di tali fenomeni e non raccontarne l’evoluzione, ma c’è anche molto altro.

Il Mediterraneo e il Vicino Oriente sono un mosaico di culture da conoscere e incontrare, di possibilità di scambi commerciali con mercati giovani e dalle potenzialità inesplorate, di collaborazione politica per fronteggiare le sfide del nostro tempo.

In secondo luogo, è inaccettabile che l’Italia conti tanto poco nello scacchiere in cui la geografia l’ha collocata.

L’impressione è che il nostro Paese, sia nella società civile che nel mondo politico, non riesca a immaginare se stesso come un soggetto geopolitico autonomo, in possesso di una visione strategica della propria azione internazionale e disposto a modulare le sue scelte in funzione degli obiettivi da raggiungere.

La politica estera italiana naviga quasi sempre a vista, tra la gestione di emergenze contingenti e l’amaro riconoscimento delle occasioni mancate e dei successi altrui. Eppure, il Belpaese e, in maniera particolare, il suo Mezzogiorno, occupano una posizione centrale in quello che fu il mare nostrum della Roma imperiale.

Continuiamo invece a guardare in maniera diffidente, con poche eccezioni nella storia unitaria, verso i nostri vicini, rinunciando talvolta alla tutela di interessi strategici e a esercitare quel ruolo di primo piano assegnatoci dalla carta geografica. Nel frattempo, altri protagonisti si incontrano e si scontrano per spartirsi le risorse e gli spazi di crescita politica ed economica disponibili nel nostro “giardino di casa”. Il rischio è di continuare ancora a lungo a rimpiangere le opportunità sprecate, ma anche di divenire noi stessi una preda geopolitica appetibile per le potenze che nella regione medio-mediterranea hanno interesse a far valere il loro punto di vista.

Storie d’Oltremare, nei limiti delle mie conoscenze e capacità, si propone di dare un piccolo contributo, senza velleità né arroganza, alla descrizione e alla comprensione di quella parte di mondo in cui viviamo. Roma è la più europea delle capitali mediterranee e la più mediterranea delle capitali europee.

La condizione di Paese europeo proteso verso altre terre e altri popoli impone all’Italia di uscire finalmente dal quel guscio in cui una crisi economica decennale e la pandemia di coronavirus l’hanno imprigionata. È tempo di volgere uno sguardo attento e preparato al di là dei confini, nella consapevolezza che la duplice anima mediterranea ed europea costituisce per l’Italia una risorsa e non un punto di debolezza.