Prove di disgelo tra Stati Uniti e Arabia Saudita. Dopo mesi di tensioni, i due Paesi sembrano giudicare il momento adatto per mettere da parte i fattori di divisione. Questi hanno trovato espressione in schermaglie diplomatiche e dichiarazioni poco in linea con l’antica amicizia tra la potenza a stelle e strisce e il gigante petrolifero. Alle tensioni ufficiali si è aggiunto un astio personale tra il presidente americano, Joe Biden, e il principe ereditario e sovrano de facto di Riad, Muhammad bin Salman (MbS). Il leader democratico, durante la campagna elettorale, aveva dichiarato che mai lo avrebbe incontrato, considerandolo il mandante politico dell’omicidio del giornalista dissidente Jamal Khashoggi, avvenuto nel consolato saudita di Istanbul nel 2018. Le ragioni di questo inevitabile riavvicinamento rispondo a considerazioni di Realpolitik, che obbligano entrambi gli attori a mettere da parte le posizioni di principio, in nome dei rispettivi interessi.

Da alcuni giorni, circola la notizia, ancora in attesa di conferma ufficiale, di una tappa a Riad, in occasione di una viaggio in Europa e in Medio Oriente, che Biden intraprenderà a fine mese. Per il presidente americano si tratta di un boccone amaro da ingoiare. Non sarà infatti possibile evitare un incontro con Mbs, vero detentore del potere, diventato personaggio chiave nella strategia americana di opposizione all’invasione russa dell’Ucraina. L’Arabia Saudita, primo produttore di greggio al mondo, resta un attore importante nello scacchiere internazionale, soprattutto nei momenti di grande tensione nei mercati petroliferi. Questi erano già sotto pressione per l’aumento della domanda, seguito alla ripresa delle attività produttive dopo la pandemia e, da fine febbraio, subiscono le conseguenze di quanto sta accadendo in Europa orientale.

Il potere contrattuale di Riad è dunque aumentato di parecchio nelle ultime settimane. Gli americani credono ancora che i sauditi e, più in là, anche i venezuelani e gli iraniani, possano coprire gli ammanchi nell’offerta globale di petrolio. Questi sono dovuti alle sanzioni, sempre più stringenti, che gli occidentali stanno imponendo alla Russia. Dopo lunghi negoziati, l’Unione europea ha adottato recentemente il sesto pacchetto di provvedimenti contro le azioni di Mosca. Tra le misure previste, figurano il divieto graduale di importazioni di petrolio russo via mare, che dovrebbero essere azzerate entro la fine dell’anno prossimo. Inoltre, in coordinamento con il Regno Unito, è previsto il rifiuto di assicurare le petroliere che trasportano il greggio di Mosca.

L’Arabia Saudita ha un peso determinante nella definizione degli equilibri energetici globali e a Washington tutti ne sono ben consapevoli. Ma l’impegno di Riad a favore dei piani americani ha un prezzo. Nelle prime settimane di invasione dell’Ucraina, i tentativi della Casa Bianca di stabilire un contatto con i sauditi (e con gli emiratini) si sono scontrati con un assordante silenzio.

Le due monarchie del Golfo hanno approfittato dell’occasione per rendere ancora più palese la loro insoddisfazione per il modo in cui gli Stati Uniti intendono riordinare lo scacchiere mediorientale. In particolare, suscita apprensione la determinazione americana a definire un nuovo modus vivendi con l’Iran. I regimi sunniti dell’area considerano pericoloso che il regime degli ayatollah torni progressivamente a respirare, dopo la massima pressione, esercitata dalle sanzioni volute da Trump. I sauditi temono anche di perdere la protezione dell’ombrello militare statunitense. Tale paura ha trovato conferme soprattutto dopo che Washington non è intervenuta, se non con blandi comunicati di condanna, in occasione delle azioni di sabotaggio alle infrastrutture e di attacchi contro le città operati, negli ultimi anni, dai ribelli houthi, alleati yemeniti della Repubblica islamica. Ora però Washington ha bisogno di Riad. Ma è vero anche il contrario. Ecco quindi che Stati Uniti e Arabia Saudita, nelle ultime settimane, hanno lanciato segnali di distensione.

La più recente di tali iniziative ha avuto luogo il 2 giugno. Gli americani hanno apprezzato pubblicamente la decisione dell’Opec, fondata nel 1960 e affiancata dalla Russia fin dal 2014, assumendo la denominazione di Opec+. Il cartello dei Paesi esportatori di idrocarburi, influenzato da Riad, ha deciso di anticipare e incrementare gli aumenti di produzione già programmati. In seguito alla ripresa della domanda mondiale di petrolio, gli Stati membri avevano già concordato un’intensificazione delle attività di estrazione pari a 400mila barili al giorno. La misura sarebbe entrata in vigore a settembre, ma il cartello ha deciso di intervenire già da luglio e per una quantità vicina ai 650mila barili giornalieri.

Inoltre, la sessione ministeriale di inizio giugno ha deliberato di sospendere le quote previste per la Russia. La scelta dipende soprattutto dal timore dei Paesi esportatori di greggio di dover gestire shock dell’offerta, capaci di fermare la ripresa dell’economia mondiale, conducendo a cali repentini della domanda. Tale scenario finirebbe per danneggiare gli stessi produttori di petrolio, che stanno ora beneficiando di ricavi consistenti, in ragione delle quotazioni attuali del barile. Ad esempio, l’Arabia Saudita quest’anno registrerà un surplus di bilancio di circa 80 miliardi di dollari, a fronte dei 15 miliardi del 2021. È interesse primario di Riad mantenere alti i prezzi del petrolio, senza arrivare a fasi di turbolenza ingovernabili. Si tratta di un buon compromesso anche per Washington, che ha lodato la disponibilità dell’Arabia Saudita di coprire una parte delle quote prima assegnate a Mosca, insieme agli Emirati Arabi Uniti e all’Iraq.

Proprio mentre l’Opec+ assumeva tali decisioni, giungeva la notizia di un prolungamento di due mesi della tregua, che da aprile vige in Yemen. Dopo lunghi negoziati, i ribelli houthi, appoggiati dall’Iran, e il governo riconosciuto dalla comunità internazionale e sostenuto da una coalizione militare a guida saudita dal marzo del 2015, hanno trovato un accordo.

La guerra civile nel più povero dei Paesi della Penisola araba dura dal 2014 e ha generato una delle crisi umanitarie peggiori degli ultimi decenni, oltre a provocare migliaia di vittime. Le centinaia di incursioni aeree di Riad non hanno piegato la resistenza delle forze ribelli, che ancora controllano il nord-ovest dello Yemen, intrappolando i sauditi in un conflitto molto costoso. L’amministrazione Biden ha più volte criticato il modo di condurre le operazioni militari, che hanno provocato spesso vittime innocenti. All’inizio del suo mandato, il presidente aveva anche bloccato, anche se solo temporaneamente, l’esportazione di alcuni armamenti verso il Golfo, per rendere evidente la sua disapprovazione. L’impegno di Riad a favorire la tregua e l’assenza di violazioni significative sono stati letti come una prova di buona volontà verso Washington. A questo si aggiunge l’impossibilità per i sauditi di dedicare ulteriori risorse alla difesa, che servono a finanziare gli ambiziosi programmi di transizione energetica del regno.

Un altro segnale di buona volontà verso gli Stati Uniti vede protagoniste le isole di Tiran e Sanafir, all’imboccatura del Golfo di Aqaba. Il loro controllo è di particolare interesse per Israele, che non intende accettare limitazioni alla navigazione verso Elat, unico accesso dello Stato ebraico al Mar Rosso. Basti pensare che il blocco istituito intorno alle isole dal parte del regime egiziano di Gamal Abdel Nasser rappresentò il casus belli della guerra dei Sei Giorni del 1967.

Il Cairo ha mantenuto il controllo su Tiran e Sanafir dal 1954, quando un accordo con Riad, basato sulla delimitazione dei confini amministrativi operata dagli ottomani nel 1906, fu comunicato alle Nazioni Unite. Nel 2017, il presidente Abdel Fattah al Sisi ha ratificato un trattato, approvato dal parlamento egiziano pochi giorni prima, che ridefinisce le frontiere marittime con l’Arabia Saudita, attribuendo le isole a Riad. La notizia non suscitò particolare stupore in Israele, che aveva dato il suo assenso informale, già nel 2016. Gli accordi di sicurezza alternativi per rendere effettivo il passaggio di sovranità non sono stati ancora formalizzati. I negoziati, con la mediazione di Egitto e Stati Uniti, proseguono e potrebbero rappresentare un primo punto di contatto formale tra Israele e Arabia Saudita, in vista di una normalizzazione dei rapporti, che però appare ancora lontana.

Non mancano dunque i segnali, che lasciano pensare a un nuovo capitolo nelle relazioni tra due antichi alleati, per lungo tempo distanti. Americani e sauditi, forse più per una coincidenza di interessi che per reale volontà di apertura, hanno ripreso un dialogo, che mancava da tempo. L’amministrazione democratica, anche a costo di ingoiare qualche boccone indigesto, alla fine ha optato per un approccio realistico verso la monarchia wahhabita, mettendo da parte rigidità ideologiche, rivelatesi sterili in termini di risultati concreti. Da parte sua, Riad ha interesse a mantenere relazioni amichevoli con Washington per le ragioni sopra elencate e nel tentativo di far dimenticare quanto prima l’affaire Khashoggi e l’impegno in Yemen, avaro di risultati significativi. L’invasione russa dell’Ucraina sembra aver offerto a MbS le condizioni ideali per ritornare a contare agli occhi degli americani, senza rinunciare a perseguire gli interessi scritti sua agenda di politica estera.

Foto: startmag.it

Fonti e approfondimenti

E. Rossi, Tre motivi che portano Biden a Riad, Formiche.net, 3 giugno 2022;

CNBC, Opec and allies to raise production by 216,000 barrels per day, 2 giugno 2022;

U. Bertone, Biden volerà in Arabia, ma l’Opec+ ha già deciso di aumentare la produzione di petrolio, Il Foglio, 2 giugno 2022;

AGI, La Ue conferma lo stop delle importazioni di petrolio russo dal 2023, 2 giugno 2022;

AGI, L’Opec+ ha aumentato la produzione di petrolio di 648mila barili al giorno, oltre le attese, 2 giugno 2022;

Il Sole 24 Ore, FT: accordo Ue – Gb, niente assicurazione alle navi che trasportano petrolio russo, 1 giugno 2022;

E. Rossi, Due isole potrebbero avvicinare Israele e Arabia Saudita, Formiche.net, 24 maggio 2022;

E. Rossi, Biden incontrerà MBS tra pressioni e relazioni da ricomporre, Formiche.net, 20 maggio 2022;