In questi giorni, un’ondata di isteria investe le relazioni tra l’Italia e la Francia. I governi delle due sorelle latine sono ai ferri corti sulla questione dei migranti e sullo sbarco nei nostri porti dei disperati raccolti in mare dalle navi delle ONG. A Parigi salgono in cattedra ministri e portavoce più o meno sconosciuti a invocare tutele verso un’Italia irresponsabile, alla quale dover impartire lezioni di bon ton umanitario e mostrarle come si sta al mondo. A Roma si grida allo scandalo per la saccenteria che cala da Oltralpe, con quasi tutte le forze politiche a stracciarsi le vesti per l’offesa subita dalla nostra sovrana dignità. Calma, ragazzi! Niente di nuovo sotto il sole di questo mite novembre.

È dal 1861 che la Francia non ha mai completamente accettato un’Italia unita da Aosta a Lampedusa. A Napoleone III avrebbe fatto piacere un grande Stato piemontese, esteso alla Lombardia e al Veneto se le cose fossero andate bene. Non certo un Belpaese potenziale minaccia all’egemonia francese nel Mediterraneo. Questo rospo i francesi non l’hanno mai ingoiato, figuriamoci a digerirlo. Se poi ci aggiungiamo che Parigi, da ormai più di 60 anni, è in perenne crisi di identità, la frittata è fatta.

Ogni tanto, una fiammata di amour propre ha un effetto terapeutico su una Francia non rassegnata ad aver perso la grandeur, che peraltro non ha quasi mai avuto. E allora quale migliore occasione per fare la maestrina con l’Italia, cioè verso la sorella minore considerata incapace di badare a sé. Non sarebbe stato possibile farlo, ad esempio, con la Germania. Con la prima della classe, altro che effetto terapeutico: sarebbero state legnate in testa! E allora, accomodatevi pure, se vi fa stare meglio, cari francesi. Noi, più che guardarvi con bonaria simpatia, non faremo. O almeno, non dovremmo fare. Porelli, direbbero a Roma! A tali spasmi in risalita dalle viscere dalla Francia profonda si affiancano le difficoltà politiche del presidente Emmanuel Macron, impegnato a portare avanti un secondo mandato non proprio brillante e sotto il fuoco continuo di una destra esterofoba e in continua crescita nei consensi.

Quanto a noi, nessuno sentiva la mancanza, eccetto forse i militanti di partito più intransigenti, per certe cafonate politiche, che alcuni cercano di spacciare per battaglie identitarie. E così siamo tornati a discutere di idiozie, dal tetto all’utilizzo del contante ai prepensionamenti che non incentivano l’ingresso di un solo giovane nel mondo del lavoro, dalle polemiche sulla presunta deriva autoritaria del Paese a quelle vergognose sulla figlia della presidente del Consiglio, che ha seguito la mamma al G 20 di Bali. Insomma, il vento della politica politicante ha ricominciato a soffiare gagliardo, spazzando le menti e la razionalità delle persone da destra a sinistra.

In questo tritacarne, sono rimaste impigliate anche le relazioni italo-francesi. I rapporti tra i due Paesi latini sono storicamente altalenanti. Essi hanno attraversato momenti di grande intimità, alternati a fasi di forte tensione. Come durante la guerra delle tariffe negli anni Ottanta del XIX secolo o tra il 1936 e il 1938, quando a Palazzo Farnese, sede dell’ambasciata di Francia, risiedette un semplice incaricato d’affari. Più di recente, nel 2019, i rapporti avevano toccato un nuovo picco di tensione. Il sostegno inequivocabile dell’allora vicepresidente del Consiglio, Luigi Di Maio, e del suo partito al movimento dei gilet gialli che, con proteste e atti di violenza, stava paralizzando la Francia irritò talmente Parigi da richiamare l’ambasciatore in patria per consultazioni. Una mossa diplomatica molto dura per due Paesi legati dalla comune appartenenza all’Unione europea.

Vette di inedita concordia sono state invece raggiunte durante i mesi in cui Mario Draghi ha guidato Palazzo Chigi, coronati dalla firma del trattato del Quirinale, che getta la basi per rafforzare e strutturare la cooperazione bilaterale. Dopo decenni di attesa, finalmente le sorelle latine si sono dotate di uno strumento per approfondire i loro legami, rivestendo la loro collaborazione di un carattere sistematico. Ora è necessario dare seguito a quanto concordato. C’è bisogno della buona volontà dei contraenti, che hanno tutto l’interesse a fare fronte comune su questioni di importanza vitale, mettendo da parte i punti di discordia, comprese le inutili sceneggiate di questi giorni.

Il primo passo per dare concretezza all’accordo è una sana opera di pedagogia nazionale da entrambi i lati delle Alpi. Noi italiani dobbiamo renderci conto che l’affidabilità e la serietà nelle relazioni internazionali sono importanti esattamente come nei rapporti tra familiari, vicini o colleghi. Tutti desideriamo circondarci di persone sulle quali poter contare, senza la paura di capricci infantili dalle conseguenze imprevedibili o di pericolosi voltafaccia nel momento del bisogno. Lo stesso vale in politica estera. E purtroppo l’Italia continua a essere percepita come lunatica e talvolta infida. Quando poi a Roma ci convinciamo che sia utile sbraitare un po’ o piagnucolare accusando gli altri di non venire in nostro aiuto, facciamo ancora una volta la figura dei bambini o al massimo degli adolescenti fanfaroni. Non è così? Basta seguire la cronaca politica di questi giorni per trovare amare conferme.

Quanto ai francesi, forse c’è bisogno di un po’ più di coraggio per superare tanti stereotipi e pregiudizi stratificati nei secoli. Nonostante le innumerevoli fragilità, l’Italia resta una grande Paese, che conserva una capacità manifatturiera non trascurabile, che dà un contributo concreto al processo di integrazione europea, ed è un perno geografico imprescindibile al centro del Mediterraneo. Collaborare con Roma non deve significare per Parigi benevola concessione al vicino sud-orientale dell’onore di affiancare la magnifica Francia nei suoi progetti. Quasi una sorta di vendetta contemporanea per le imprese di Giulio Cesare in terra gallica. I due Paesi hanno bisogno di agire insieme sulla base del rispetto e della fiducia, altrimenti i trattati non avranno un valore superiore a quello della carta sulla quale sono scritti.

Due sono gli scacchieri dove la solidità delle relazioni italo-francesi non è un lusso da concedersi all’occorrenza, ma una necessità vitale sia per Roma che per Parigi. Soprattutto in una fase storica sempre più dominata dall’incertezza, con il barometro della geopolitica che ormai segna stabilmente burrasca. Il primo è quello della casa europea. Dopo la pandemia e nonostante le turbolenze energetiche accelerate dall’invasione russa dell’Ucraina, a Bruxelles ricomincia a soffiare il vento dell’austerità. Sotto la spinta dei Paesi nordici, la Germania potrebbe tornare a imporre l’ottuso rigore nei conti pubblici, che già tanti problemi ha creato ai Paesi più indebitati. Inutile dire che l’Italia ne sarebbe travolta, ma neanche la Francia dormirebbe sonni tranquilli. Ecco perché un asse Roma-Parigi è fondamentale per bilanciare le pulsioni rigoriste e garantire una certa flessibilità di spesa.

L’altro fronte di comune pericolo è il Mediterraneo. La guerra in Ucraina fa da catalizzatore di fenomeni in evoluzione già da tempo e contribuisce a generarne di nuovi. La competizione geopolitica tra le maggiori potenze globali è attiva anche nei mari che ci circondano, mentre nuovi attori di medie dimensioni e vicini a casa nostra si attrezzano per buttarsi nella mischia e realizzare i loro disegni di grandezza. Il più attivo di tali soggetti è la Turchia, che sta cercando in tutti i modi di rafforzare la sua proiezione marittima e, con inaspettata abilità, sta lucrando dalla sua posizione di sostanziale equidistanza tra i contendenti. Parigi non guarda di buon occhio ai disegni di Ankara e Roma ne teme la crescita politica e militare, anche se con posizioni più concilianti, tanto da poter giocare il ruolo di pontiere in una sorta di direttorio mediterraneo non inviso agli Stati Uniti.

Sicurezza, fenomeni migratori, accesso alle risorse, collaborazione con la sponda sud e rivalità geopolitiche sono solo alcuni dei dossier di interesse comune. Si tratta di sfide che nessun Paese è capace di affrontare da solo. Unendo le forze e coordinando le azioni è possibile difendere meglio i tanti interessi comuni a Italia e Francia. Altrimenti continueremo a perdere tempo in sterili polemiche e chiacchiere inutili mentre gli altri fanno i fatti. Ridiamoci quindi sopra, ma con la consapevolezza che un rapporto solido e basato sul reciproco rispetto tra i nostri Paesi è di grande vantaggio per entrambi. E il primo passo è rendersi conto che siamo molto più simili di quanto gli italiani credano e i francesi pensino anche perché – questo è il motto del gemellaggio esclusivo tra le due capitali – solo Roma è degna di Parigi e solo Parigi è degna di Roma.

Foto: Ministero della Difesa (difesa.it)

Fonti e approfondimenti

Questo articolo è concepito come un editoriale più che come un saggio, frutto delle mie conoscenze e riflessioni nonché della lettura della stampa quotidiana, alla quale si rimanda per la descrizione puntuale degli eventi citati nel testo.