La settimana scorsa, il presidente egiziano, Abdel Fattah al Sisi, si è recato in visita in Sudan. Lo scopo principale del viaggio era di discutere con le autorità locali della Great Ethiopian Renaissance Dam (GERD), sbarramento che Addis Abeba sta costruendo dal 2011 sul Nilo Azzurro. La diga suscita preoccupazione al Cairo e a Khartum, che temono una riduzione della portata del fiume e disastrose inondazioni in caso di incidenti. Finora, i tentativi di trovare un’intesa sono falliti e, la scorsa estate, è terminata la prima fase di riempimento del bacino da 75 miliardi di metri cubi. L’Etiopia ha annunciato che, tra pochi mesi, procederà con la seconda fase, anche nel caso in cui i Governi dei tre Paesi non riuscissero ad accordarsi.

La GERD, completa al 70%, dovrebbe essere pienamente operativa entro la fine dell’anno prossimo. L’infrastruttura, costata circa 4 miliardi di dollari, è realizzata dal gruppo industriale Webuild, già Salini Impregilo, leader globale nella costruzione di grandi opere e nell’ingegneria. L’impresa italiana opera in Etiopia fin dal 1957 nel settore delle infrastrutture stradali, sanitarie, idriche ed elettriche. Queste hanno contribuito al progresso del Paese che però, nonostante tassi di crescita dell’economia fra i più alti al mondo, resta afflitto da problemi di sottosviluppo diffuso.

La GERD è il progetto più ambizioso seguito in Etiopia dall’azienda. Una volta terminato, lo sbarramento sarà la diga più grande del continente africano, con una lunghezza di 1,8 Km e un’altezza massima di 170 m. Le due centrali elettriche alla base produrranno fino a 15.000 Gwh all’anno, consentendo di risparmiare combustibili fossili ed evitare l’immissione in atmosfera di almeno 2 milioni di tonnellate di anidride carbonica.

Addis Abeba ha elaborato un piano per l’elettrificazione delle zone rurali, ancora escluse dal progresso tecnologico e oppresse dalla povertà, nonché per rendere l’Etiopia carbon neutral entro il 2025. Per raggiungere tali obiettivi, il Governo punta sulla GERD al fine di aumentare la produzione di elettricità del 270%, coprendo tutto il fabbisogno nazionale ed esportando la quantità eccedente ai Paesi vicini. Inoltre, la diga fornirà acqua potabile, ma anche per uso agricolo e industriale, per milioni di persone, in un Paese che, con 125 miliardi di metri cubi all’anno, ha uno dei livelli di consumo idrico più bassi al mondo.

L’Egitto e il Sudan temono che l’Etiopia ottenga questi vantaggi a danno delle loro economie. In particolare, Il Cairo vuole impedire una riduzione drastica della portata del Nilo. Questa sarebbe causata da un riempimento troppo veloce del bacino della diga, che Addis Abeba vorrebbe completare in quattro anni, a fronte dei sette chiesti dai vicini. Al Sisi, durante il suo viaggio a Khartum, ha fatto appello al buon senso di Abiy Ahmad Ali, alla guida del Governo etiope dal 2018, insignito del premio Nobel per la pace nell’anno successivo.

Il presidente egiziano ha chiesto di riprendere al più presto i negoziati, auspicando il coinvolgimento degli Stati Uniti, dell’Unione Europea e dell’Unione Africana nel ruolo di mediatori. La risposta di Addis Abeba non è stata molto rassicurante. L’Etiopia ha fatto sapere di non essere disposta a riprendere i colloqui, interrotti a maggio 2020, sotto la pressione delle potenze occidentali. Ahmad Ali preferisce la formula già sperimentata delle trattative dirette, con i buoni uffici della presidenza di turno dell’Unione Africana.

Per l’Egitto, che ha una popolazione di 100 milioni di abitanti concentrati lungo le rive e nel delta del fiume, l’acqua del Nilo è vitale. Ne consuma quasi i due terzi e dipende da essa per il 90% delle risorse idriche. Se il bacino della GERD venisse riempito troppo presto, la portata del Nilo potrebbe calare del 44%, da 55,5 a 31 miliardi di metri cubi annui. È chiaro che Il Cairo non può accettare una minaccia del genere e al Sisi non ha escluso il ricorso all’opzione militare per evitare che l’Egitto sia ridotto alla sete.

Tale ipotesi è presa in considerazione anche dal Sudan, che già ha rapporti tesi con l’Etiopia per vecchie questioni confinarie mai risolte. I due Paesi condividono una frontiera di circa 1.600 Km, definita agli inizi del secolo scorso in seguito a negoziati tra il negus, Menelik II, e gli inglesi, allora potenza coloniale in Sudan. Il tracciato è impreciso in molti punti e questo ha determinato rivendicazioni da parte di Addis Abeba e Khartum, solo in parte risolte durante summit regolari, svoltisi tra il 2002 e il 2006.

In particolare, le dispute riguardano la pianura di Al Fashqa. Il Sudan afferma che l’area sia sotto la sua sovranità, mentre gli agricoltori della regione etiope dell’Ahmara ne rivendicano il possesso. Durante gli anni della dittatura di Omar al Bashir, presidente del Sudan dal 1989 all’aprile del 2019, la questione era limitata a scontri tribali, soprattutto nelle stagioni della semina e del raccolto, che non assumevano valenza nazionale.

Il nuovo Governo di Khartum, composto da civili e militari, chiamati a gestire la transizione del Paese verso la democrazia, si è mostrato più intransigente. E la questione della GERD è utile per ottenere l’appoggio del vicino egiziano. Inoltre, i sudanesi temono che la diminuzione della portata del Nilo possa danneggiare anche la loro agricoltura, aggravando l’insicurezza alimentare e la povertà delle aree rurali. Khartum stima che un’aperura accidentale dello sbarramento, situato a pochi chilometri dal confine, metta 20 milioni di persone, cioè più della metà della popolazione sudanese, a rischio di inondazioni.

Le acque del Nilo sono dunque oggetto di aspre contese fra i tre Paesi che ne beneficiano maggiormente. La GERD, prima ancora della sua entrata in funzione, ha già un impatto geopolitico evidente su tutta l’Africa nord-orientale. E non può essere escluso che altri attori, dagli Stati Uniti ai Paesi del Golfo, dalla Cina agli Stati europei, restino al di fuori di una partita politica e diplomatica dagli esiti incerti. Finora non si è arrivati a una di quelle “guerre dell’acqua”, ritenute sempre più frequenti in futuro a causa dei cambiamenti climatici. Ma la tensione è alta. Ciononostante, è improbabile che l’Etiopia arrivi a un conflitto armato contro il Sudan e l’Egitto. Quest’ultimo dispone di forze armate molto più consistenti ed efficienti di quelle di Addis Abeba, già peraltro impegnate a soffocare le pulsioni separatiste nella regione del Tigray.

L’Etiopia sa che non può assetare Khartum e Il Cairo senza correre il rischio di una risposta militare e del coinvolgimento della comunità internazionale a sostegno dei suoi avversari. L’obiettivo è di accelerare il più possibile il riempimento del bacino della GERD, sfruttando già la prossima stagione delle piogge, secondo un piano simile a quello dell’estate scorsa. Successivamente, Addis Abeba cercherà di ottenere un accordo che sia il più vantaggioso possibile con i vicini, magari promettendo di condividere una parte dei benefici derivanti dalla diga. Ma l’Egitto e il Sudan devono farsene una ragione: il Nilo è un fiume sempre più conteso.

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